Specchio delle mie brame
Che gioia, vedere generazioni di giovani e meno giovani scattarsi selfie. Comunicare così il proprio stato, condividerlo. Oppure conservarlo privatamente, non ha importanza. In questo momento, mi sento molto come Horace Walpole (lo “spirito della serendipità” di un post precedente). Da lui avete ereditato una parola-concetto. Da me (almeno così dicono, zitto tu Narciso!), un’idea. Questa:
Avevo 12 anni. Ero figlia di re. Quando poi, a 17 anni, quelle dannate pallottole squarciarono la mia pelle facendo schizzare a fiotti il mio giovane sangue, quando gli organi interni cominciarono a bruciare lacerati dalla polvere da sparo, mentre il mio bel viso si deturpava perché definitivamente violentato dalla violenza sorda dei miei boia, pensavo a quell’idea.
Solo Narciso poté poi vedere il mio cadavere, insieme a quello degli altri miei familiari, fatto a pezzi con asce e poi bruciato in un bosco. Avevo 17 anni. Narciso pensò che gli autoscatti sono portatori di una sorte sventurata. Per fortuna ci ha pensato poi l’evoluzione tecnologica a renderli un momento di gioia.